Le risposte dei candidati rettore UNIBO del 2015-Braga

Questa e’ la risposta del professor Dario Braga, che ringraziamo per il tempo che ha voluto dedicarci.

Carissimi

La Direzione del Collegio Superiore dal 2000 al 2006 resta per me il periodo più bello della mia vita accademica extra-scientifica, al di là cioè della mia vita di ricercatore e scienziato. Meglio della Direzione dell’ISA e meglio di questi anni come Prorettore alla Ricerca. E sapete perché? Perché è stato un momento di grande sperimentazione. Il compianto Rettore Calzolari mi assegnò il compito di dirigere il collegio, succedendo al collega Andrea Battistini, in un momento molto delicato della vita della giovane istituzione: lo spostamento della sede dal Collegio Alma Mater di via del Sacco al Residence Galaxy. Non era un situazione facile, perché la destinazione non era certamente ottimale ma la scelta era stata fatta e a me – neodirettore – non restava che cercare di fare “the best of a bad job”. E facemmo tutti molto di più. In poco tempo, grazie agli studenti e ai docenti di quegli anni riuscimmo a dare una veste adeguata. Da “Galaxy” a “Residenza di Studi Superiori”, alla ridefinizione degli spazi interni, alle regole di convivenza con altri ospiti, alla creazione della struttura di servizi, common room, biblioteca, sala svago, pianoforte, pingpong. Era un po’ tutto da re-inventare. Una sfida fantastica.

“Inventammo” la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico del Collegio Superiore . Il primo anno si svolse nell’aula magna del mio dipartimento perché non mi sentivo abbastanza sicuro per portarla in Santa Lucia dove sarebbe andata negli anni successivi e lì si sarebbe ripetuta. Ricordo lezioni magistrali di Vincenzo Balzani, Carlo Flamigni, Umberto Eco, Gianfranco Pasquino, Augusto Barbera. Inventammo anche la cerimonia di consegna delle licenze del Collegio, da sempre in sala VIII centenario. Tutto questo perché ero convinto e ancora lo sono che i momenti cerimoniali sono momenti di grande visibilità e servono anche a scopi molto utilitaristici come il riconoscimento delle sponsorizzazioni, vitali per il Collegio, e come momenti di unità davanti al resto dell’Ateneo. In questo rientrano anche il “welcome party” per i nuovi studenti e gli auguri di Natale, ma anche l’intestare pezzi del Collegio ai donatori.
Ma la cosa certamente più rilevante è sempre stata la formazione interdisciplinare. Un modello che è assolutamente vincente e che – ne sono tuttora convinto – è l’unica risposta possibile a una impellente necessità dei nostri giorni: essere in grado di cogliere e seguire trasformazioni rapidissime in un mondo che cambia in maniera esponenziale.
Una necessità che è quasi un ossimoro perché il mondo ci chiede oggi formazione specialistica di altissima qualità e – al tempo stesso – capacità di cogliere l’inatteso, capacità di sviluppo di pensiero laterale, capacità di muoversi anche in territori culturalmente lontani da quello della formazione prevalente. Questo il Collegio lo dava e lo dà: l’esposizione costante a stimoli laterali, la formazione integrativa consentono di mantenere aperti i terminali riceventi, anche di mantenere ampio il lessico perché spesso la difficoltà di cogliere stimoli che provengono da altre aree è proprio legata al linguaggio perché ogni area ne sviluppa uno proprio.

Insomma questo è stato il Collegio per me e questo penso che dovrebbe essere: il luogo della sperimentazione permanente. Quel laboratorio dell’alma mater università di Bologna dove si sperimentano nuovo modi di interazione tra gli studenti, tra studenti e docenti, tra docenti e docenti, tra studenti e docenti e personale ammnistrativo e tra tutti questi e l’intera università, e nuovi modi di interazione tra l’università e il resto del mondo, i finanziatori, gli ambiti professionali. Un laboratorio che riversa sull’università tutta i risultati della sperimentazione e induce cambiamenti nei modelli formativi anche nelle zone più tradizionali.

Questo è – mi spiace dirlo – esattamente quello che il Collegio non è riuscito a fare. Non certo per colpa dei docenti del Collegio né di chi lo ha diretto e lo dirige. La verità vera è che il Collegio è stato fin qui “tollerato”: un oggetto non compreso, forse nemmeno accettato, fino in fondo, percepito come “spesa ineludibile” perché la chiusura del Collegio avrebbe avuto un costo politico non sostenibile. Il risultato netto è quello che è sotto gli occhi di tutti: una (remota) “prigione dorata”, con il Collegio relegato fisicamente e politicamente ai margini della attività dell’ateneo di Bologna.

Capirete, cari studenti, quanto per me, proprio per la passione che aveva guidato la mia azione riformatrice e di lancio dell’istituzione Collegio Superiore, sia stato difficile assistere al progressivo arretramento del Collegio. Stessa logica si applica all’Istituto di Studi Avanzati, ovviamente. Non sono stato in grado di oppormi: il Collegio era fuori dalla mia delega di prorettore e i tentativi di entrare in partita sono stati respinti malamente (ricordo anche che mi interessai per soluzioni alternative per la sede discutendo con ERGO per una ipotesi Collegio Irnerio e Piazza Puntoni ma non ebbero seguito) e poi – in quegli stessi anni – è apparso chiaro che dovevo utilizzare le mie forze per difendere un’area molto più cruciale per l’ateneo tutto: quella della ricerca scientifica che rischiava di essere indebolita e impoverita di risorse umane e materiali seguendo la stessa logica che stava indebolendo il Collegio: bassa priorità avvertita.

E’ tutto così negativo? No, no

C’è un fatto di enorme rilevanza che va riconosciuto. L’istituto di Studi Superiori (ISS) è nello Statuto di Ateneo. Questo fatto per sé vale tutto perché ha “blindato” l’aspetto istituzionale del Collegio Superiore creando tutte le premesse per il rilancio.
Incidentalmente l’ISS una innovazione che introdussi una volta alla guida dell’ISA, d’accordo il Rettore Calzolari, per sperimentare un modo per semplificare la gestione di tre strutture – la residenza di studi superiori, il collegio superiore e l’istituto di studi avanzati – facendole confluire senza modificare gli spazi di autonomia operativa delle componenti in una unica struttura gestionale e contabile – l’istituto di studi superiori, appunto. Un modello che avremmo potuto seguire per tanti “accorpamenti” dipartimentali che stanno dando segnali di sofferenza.

Se sarò il prossimo Rettore, rilancerò l’ISS in tutti i suoi aspetti, a partire dal problema della sede che rientra in un più vasto problema di ricettività nazionale e internazionale del nostro Ateneo. Rivedrò insieme ai docenti e agli studenti il piano formativo per rafforzare il concetto di formazione all’inatteso, al pensiero laterale e alla serendipity. Il carico didattico svolto presso il Collegio entrerà a pieno titolo nella attività didattica dei docenti, Valuteremo la possibilità di inserire il terzo ciclo, creando un dottorato multidisciplinare e internazionale finanziato con un Erasmus Mundus ad hoc. Rafforzeremo la ricaduta sugli altri corsi di studio con una serie di attività congiunte in modo che attività formative sviluppate nel Collegio possano essere “riversate” sugli altri studenti nell’ambito dei crediti a scelta. Il Collegio avrà “gemmazioni” in tutte le sedi dei Campus, e così sarà per l’ISA. Il Multicampus diventerà un laboratorio diffuso di innovazione culturale.

Utilizzeremo il Collegio come “testimonial” nelle occasioni di fund raising per spingere i finanziatori a sostenere le attività formative e di ricerca dell’Università di Bologna. Otterremo, perché sarà il rettore di UniBo a chiederlo, l’accreditamento ministeriale. Lancerò una campagna di “rientro dei collegiali” usando la quota del 20% dei punti organico a disposizione delle strutture dipartimentali.

Se sarò Rettore, il Collegio, e tutto l’ISS smetterà di essere un costo e diventerà un investimento che renderà 10:1 in sviluppo culturale, in capacità di attrazione sia di finanziamenti, sia di studenti, ricercatori, e docenti internazionali. E i Collegiali ? Come i tre principi di Serendip che nel loro vagare “were always making discoveries, by accidents and sagacity, of things they were not in quest of “. Di questo abbiamo bisogno oggi nel mondo che cambia a ritmo esponenziale. Se questa sfida non la coglie l’Università di Bologna, chi altri dovrebbe?

Dario Braga